Discours

180° anniversario del Consiglio di Stato della Repubblica Italiana

Par Jean-Marc Sauvé, Vice-président du Conseil d'Etat
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Intervento del Vice-Presidente del Conseil d’Etat i Francia, Jean-Marc Sauvé, alla Cerimonia del 180° anniversario del Consiglio di Stato della Repubblica Italiana.

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180° anniversario constituzione del Consiglio di Stato della Repubblica Italiana

Jean-Marc Sauvé

Vice-Presidente del Conseil d’Etat i Francia

La giustizia nella separazione dei poteri

 

 Signor Presidente della Repubblica,

Ringrazio le alte Autorità della Repubblica Italiana e il presidente de Lise per l’onore che mi hanno concesso, invitandomi a prendere la parola in occasione del 180° anniversario del Consiglio di Stato d’Italia, istituzione che da molto tempo ha conquistato la stima e il rispetto delle omologhe istituzioni in Europa. Alla luce di questo avvenimento che ci allieta, vorrei sottolineare il ruolo che la giustizia ha e deve avere in un sistema di separazione di poteri.

La separazione dei poteri è stata costruita in Occidente su un paradosso. Pensata per attenuare o, piuttosto, per combattere le monarchie assolute, essa non è stata sempre in grado, almeno in Europa, di assolvere il suo compito ultimo: proteggere la persona umana contro i rischi della tirannia che da essa possono derivare in tutte le forme di sovranità, ivi compresa la sovranità popolare.

Questo paradosso ha influenzato la concezione del ruolo della giustizia agli inizi dell’era democratica. Pertanto, dei tre poteri di Montesquieu, quello di giudicare, che egli definiva “così terribile tra gli uomini”[1], doveva, secondo le sue stesse parole, essere “in qualche modo nullo”[2]. Nella migliore delle ipotesi, la giustizia non poteva che essere un’autorità passiva.

Ma le atrocità che il nostro continente ha conosciuto nel corso del XX secolo hanno crudelmente rivelato che, senza una separazione equilibrata di poteri, i fondamenti stessi dell’umanità possono vacillare. La Ricostruzione, dopo la Seconda Guerra mondiale, ha quindi condotto  a consacrare l’indipendenza della giustizia all’interno della Costituzione di numerosi Stati, come l’Italia o la Francia. Ha così trovato conferma e si è fortificata l’indipendenza del Consiglio di Stato d’Italia, che, dal 1831 e, più ancora dal 1889, con la creazione della IV sezione istituita per giudicare l’amministrazione, è una pietra angolare della sottoposizione al diritto dei soggetti pubblici e, in particolare, dello Stato.

La garanzia dei diritti fondamentali è indissociabile dall’esistenza di tre poteri separati e, dunque, dall’esistenza di una giustizia indipendente. Perché solo l’indipendenza e l’autorità della giustizia possono permettere alla stessa di adempiere alla funzione che le spetta in una democrazia: quella di essere custode del patto sociale (I). E’ pertanto compito e responsabilità dei tre poteri di vigilare per la salvaguardia di questa indipendenza e di questa autorità (II).

I. Solo l’indipendenza e l’autorità della giustizia possono permettere alla stessa di svolgere la funzione che le è propria in una democrazia, quella di guardiano del patto sociale.

La giustizia è l’ultima custode dei valori e dei principi che il popolo si è dato tramite la Costituzione e la legge. Essa assicura, nel lungo periodo, la perennità e l’effettività dei grandi principi democratici e dei diritti fondamentali della persona. Le garanzie specifiche, ovvero l’ordinamento di cui beneficia la giustizia in un regime di separazione di poteri sono la traduzione giuridica di questa missione di custode del patto sociale che ad essa è assegnata.

A.- 1.- Queste garanzie proteggono, in primo luogo, l’indipendenza e le competenze delle giurisdizioni. Così, la Costituzione della Repubblica italiana definisce e garantisce la missione giurisdizionale del Consiglio di Stato, che consiste nel proteggere gli interessi legittimi e, in particolari materie previste dalla legge, i diritti soggettivi[3]. La Costituzione italiana consacra anche l’indipendenza della giustizia, affidando al Presidente della Repubblica, attraverso i poteri a lui attribuiti, una missione di garante fondamentale per l’equilibrio dei poteri.

2.- L’ordinamento della giustizia permette ugualmente di proteggere ogni giudice dalle influenze che nei suoi confronti potrebbero esercitare gli altri poteri, in particolare il potere esecutivo: questo è il senso del principio d’inamovibilità dei giudici durante l’esercizio del loro mandato e del divieto, universalmente condiviso negli Stati di diritto, di indirizzare loro delle istruzioni durante l’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.

B.- Accanto all’indipendenza, l’ordinamento garantisce ugualmente che la giustizia disponga dell’autorità necessaria all’esercizio della sua funzione di custode del patto sociale.

1.- L’imparzialità offre così alle parti e alla società la garanzia che la soluzione di una controversia ed i principi richiamati o definiti dal giudice in relazione ad una questione particolare derivino proprio dalla Costituzione e dalla legge, e che tale soluzione non sia condizionata soggettivamente o anche oggettivamente da considerazioni legate al giudice, alla sua persona, alle sue opinioni o ai suoi pregiudizi.

2.- Le garanzie che circondano la nomina dei giudici concorrono, anch’esse, a rafforzare l’imparzialità, l’indipendenza, ma anche la competenza dei giudici medesimi: esse sono, dunque, al servizio dell’autorità della giustizia. I principi regolatori del processo – segnatamente, il principio della discussione in contraddittorio, la pubblicità delle udienze e delle decisioni e la parità delle armi – assicurano ugualmente l’equità e l’imparzialità delle procedure giurisdizionali e, quindi, la fiducia nella giustizia, e permettono a quest’ultima di assolvere pienamente il suo compito al tempo stesso giuridico e sociale.

II. L’indipendenza e l’autorità sono dunque al centro della funzione della giustizia in uno Stato di diritto: è pertanto compito dei tre poteri salvaguardare l’indipendenza e l’autorità della giustizia, che sono il cuore dello Stato di diritto.

I limiti delle influenze legittime di ciascun potere sull’altro devono trovare la loro fonte nella Costituzione e nella legge. Esse implicano dei doveri che comportano altrettante responsabilità: per la giustizia, da una parte, e per gli altri poteri, dall’altra.

A.- I doveri della giustizia in un regime di separazione di poteri poggiano sull’istituzione giurisdizionale nel suo insieme e su ciascun giudice.

1. I doveri dell’istituzione giurisdizionale sono un dovere di qualità, un dovere di coerenza e, in situazioni eccezionali, un dovere di resistenza.

La qualità della giustizia contribuisce tanto alla sua autorità quanto alla fiducia che i cittadini vi ripongono; essa presuppone una certa velocità delle procedure giurisdizionali, ma anche che la giustizia sia accessibile, che le sue procedure siano trasparenti, eque e che le decisioni possano essere facilmente comprese dalle parti in lite.

Il dovere di coerenza dell’istituzione giudiziaria è al centro anche della garanzia dei diritti. Esso si applica, certamente, alla giurisprudenza che deve essere stabile e prevedibile. Ma esso richiede anche di collegare in maniera armonica i differenti sistemi giuridici, nazionale ed europei, connessi, ma non in relazione di gerarchia tra essi, i quali tali diritti tutelano. La specializzazione giurisdizionale che Italia e Francia condividono è un punto di forza evidente: essa accresce l’efficacia del controllo giurisdizionale e, così facendo, rinforza la garanzia dei diritti. Ma essa implica una responsabilità più grande ancora per i giudici, i quali devono contribuire a rendere coerenti, senza farli entrare in conflitto, i differenti sistemi giuridici all’interno dei quali essi operano.

In situazioni di grave crisi, il dovere di resistenza impone alle giurisdizioni di continuare ad essere le custodi che vigilano sul patto sociale e sulla democrazia. In questi casi, l’eventuale impotenza della giustizia non può essere compensata dall’eroismo individuale di un limitato numero di giudici, come è accaduto nei tempi più bui delle nostre rispettive storie nazionali.

2.- I doveri personali del giudice sono doveri di moderazione, di competenza e di apertura.

La moderazione, innanzitutto, perché rendere giustizia non significa fare giustizia. Il giudice è servitore della Costituzione e della legge. Egli non potrà diventare un giustiziere, se non a costo di venir meno alla sua missione. La condizione di giudice impone una pratica virtuosa, salda e senza fanatismo, che lo conduca a rispettare pienamente, attraverso i suoi atti, il principio di imparzialità.

Un ulteriore dovere è la competenza: perché l’autorità della giustizia si fonda sul rispetto scrupoloso del rigore nel ragionamento giuridico e nella direzione del processo.

L’apertura si impone ugualmente, perché il giudice non può rimanere ai margini della società. La funzione di regolazione sociale che gli è devoluta impone che le sue decisioni siano pertinenti e sappiano prendere in considerazione tutte le questioni controverse, di qualsiasi natura esse siano. Essa implica, in definitiva, che il giudice sappia misurare e accettare consapevolmente le conseguenze delle decisioni che rende.

B.- Preservare la separazione e l’equilibrio dei poteri implica anche che il potere esecutivo e il potere legislativo riconoscano pienamente l’indipendenza e l’autorità della giustizia. Questo imperativo è sempre attuale.

1.- Spetta così a questi due poteri fissare il quadro normativo dell’attività giurisdizionale e conferire alla giustizia i mezzi necessari al suo funzionamento, evitando che, questa diventi l’occasione per influenzare il normale esercizio delle funzioni giurisdizionali. Il potere esecutivo ha anche il dovere di rispettare le decisioni dei giudici. Esso deve ugualmente assicurarne l’esecuzione, in quanto tale dovere rientra tra i principi fondamentali del diritto ad un processo equo.

2.- Il Governo e il Parlamento, quando utilizzano il potere loro riconosciuto dall’ordinamento di modificare le regole o l’interpretazione che il giudice ne dà, devono anche astenersi dall’intaccare l’indipendenza e l’autorità della giustizia, e quindi dal produrre un’attenuazione sproporzionata della separazione dei poteri.

Infine, né il costituente, né il legislatore, dovrebbero poter riformare l’organizzazione delle  giurisdizioni, le regole di procedura o le garanzie ordinamentali dei giudici per motivi di parte, per sanzionare l’erroneità, reale o supposta, di una decisione, o per tentare di influenzare la soluzione di una controversia o il significato di una  giurisprudenza. Quanto al potere esecutivo, esso deve astenersi da ogni pressione diretta o indiretta sui giudici. Perché le ingerenze e le interferenze sul funzionamento della giustizia, tanto biasimevoli quanto, il più delle volte, inutili, mettono a dura prova la separazione dei poteri e la solidità del patto costituzionale.

*   *   *

Questo patto che riunisce i tre poteri è un atto fondatore: è quello della democrazia e dello Stato di diritto. Ma è un atto fragile: la sua perennità dipende dalla responsabilità di tutti. Questa responsabilità noi dobbiamo assumerla, per preservare i valori e i principi che il popolo sovrano si è dato, che sono scolpiti nelle nostre Costituzioni e che, inoltre, danno forza agli impegni europei e internazionali che abbiamo assunto. Tali impegni ci ricordano che i valori  e i principi di cui i giudici, in Italia, come in Francia e nel resto d’Europa, sono i custodi, noi li condividiamo con l’intera umanità. Il Consiglio di Stato italiano nel corso della sua lunga e ricca storia ha dato lustro a tali valori e a questi principi. Esso ha apportato, attraverso il suo ruolo di giudice e di consigliere indipendente, un contributo fondamentale alla costruzione dello Stato di diritto in Italia e in Europa. Nella mia qualità di presidente di una giurisdizione amministrativa d’Europa, ne rendo testimonianza e ad esso esprimo la mia riconoscenza. Rivolgo altresì gli auguri più calorosi per la prosecuzione della sua alta e feconda missione.

[1]Montesquieu, De l’esprit de la loi, op. cit. ibid. p. 296

[2] Idem, p. 301.

[3]Costituzione della Repubblica italiana, art. 103.